Dio in realtà non è che un altro artista.
Egli ha inventato la giraffa, l’elefante e il gatto. Non ha un vero stile: non fa altro che provare cose diverse. Dio, quell’altro artigiano.
George Steiner
La ceramica è tutto fuorché un’arte minore.
È una tecnica ardua, che ricerca un’armonia tra le caratteristiche opposte della pittura e della scultura. Le ceramiche di Francesca Pastore, le sue galline decorate che paiono emerse dall’ombra dell’alba, sono pezzi unici e sorprendenti capaci di sprigionare una grande vitalità, e una sorta di allegria “infantile”.
Ella si appropria della ceramica così come degli strumenti usati per la cottura nel forno, e la trasforma in opere di alto rtigianato artistico dipingendola e utilizzando una varietà di tecniche scultoree per sottrarla alla sua funzione originaria.
Riuscendo in tal modo a creare una stupefacente tensione tra il carattere originario dell’oggetto, comunque mantenuto, e la qualità dell’opera realizzata.
Nella ceramica tradizionale la rappresentazione degli animali è spesso condizionata dalla forma dei vasi.
La Pastore con il suo atteggiamento per nulla convenzionale nei confronti delle forme e delle tecniche, quasi innova questa usanza adattando la forma della ceramica al soggetto raffigurato con esiti spesso originali, esplorando i confini tra pittura e scultura e giocando sulla possibilità di passare dalla bidimensionalità alla tridimensionalità.
La sua capacità di padroneggiare un’antica tradizione (la tecnica a colombino) finisce per instillare ogni volta nuova vita in un’arte millenaria, così come il giorno fa nuovi il mare e il cielo ogni mattina. La tecnica a colombino (termine usato per indicare una particolare lavorazione dell’argilla da parte delle popolazioni del Sud America poi, impropriamente esteso, anche all’artigianato delle popolazioni europee) o a lucignolo fu utilizzata, fin dall’antichità, per realizzare vasi, tazze e contenitori in creta. Tale tecnica, superata in epoche moderne dall’uso del tornio, è utilizzata ancora oggi, per la realizzazione dei grandi vasi (giare, orci) che possono raggiungere l’altezza di un metro e mezzo.
La lavorazione è semplice: si prepara la base del vaso con un disco di argilla, e si modellano alcuni salamini (colombini) di creta dello spessore di un dito.
Il primo salamino di creta è sovrapposto direttamente al disco d’argilla, gli altri colombini sono posti uno sull’altro premendo la creta con l’indice verso il basso e con il pollice verso l’alto.
Si passa poi a regolare la forma del vaso grazie ai differenti diametri dei cilindri sovrapposti, realizzati attraverso i colombini (la forma del vaso in seguito, può essere levigata e decorata esternamente e internamente).
Una volta terminata questa fase, il manufatto va posto in un essiccatoio (o semplicemente lasciato seccare all’aria) per lasciare asciugare completamente la creta. Una volta asciugato, il vaso viene cotto in appositi forni ad una temperatura che va dai 900° ai 950°C.
La creta attraverso questa cottura vetrifica, diventa così particolarmente dura assumendo infine una colorazione differente, tipica del biscotto.
Edoardo Delle Donne
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